Sostenibilità

Dagli scarti di fibre sintetiche nuove fibre di qualità

Le nuove tecnologie di riciclo escono dai laboratori

C’è chi lo chiama “riciclo molecolare”, chi “riciclo chimico”. Nei fatti è una famiglia di varie tecnologie che promette di ottenere fibre con caratteristiche simili a quelle vergini a partire da scarti di poliestere, poliammide e delle poliolefine come il polipropilene e il polietilene, tutti materiali che ad oggi sono per la grandissima parte di origine fossile. 

 

Si tratta di fibre che, considerando sia la moda che i tessili tecnici, contano per oltre 2/3 dei materiali utilizzati. Migliorare le possibilità di un loro riutilizzo potrebbe quindi contribuire significativamente sia alla riduzione delle emissioni di GHG che del volume di risorse sprecate come rifiuti. Queste tecnologie offrono poi un ulteriore bonus. Consentono la separazione dei diversi materiali durante la rigenerazione delle fibre di tessuti e filati misti. Un esempio sono i tessuti in polycotton. Il riciclo di scarti di tessuto in polycotton produce PET (poliestere) da un lato e cotone – non filabile ma pronto per la cellulosa – dall’altro.

 

È un’innovazione non di poco conto. Se consideriamo, ad esempio, il poliestere, finora il riciclo delle fibre impiegate nel tessile è limitato al downcycling come termolegante nei non tessuti, per isolanti e imbottiture. Tutto il poliestere da riciclo che si trova ormai con una certa frequenza nella moda proviene infatti, per ragioni di performance delle fibre riciclate, dal riciclo termomeccanico delle bottiglie in PET.

 

È però anche una questione controversa. Questa famiglia di tecnologie richiede infatti grandi quantità di energia, termica o elettrica, affinché avvengano le reazioni chimiche che rigenerano le fibre spezzando e poi ricreando le catene polimeriche che compongono le fibre, una condizione dettata dalle leggi fisiche della termodinamica, quindi non eludibile. Inoltre, per alcune delle varianti di queste tecnologie è necessario un grande uso di solventi chimici, che diventano poi a loro volta rifiuti.

 

È necessario quindi, da un punto di vista ambientale valutare e misurare attentamente gli impatti positivi e negativi. Le condizioni per la desiderabilità dell’applicazione di queste tecnologie possono essere riassunte in pochi punti.

 

La prima condizione riguarda evidentemente l’uso di energia, non necessariamente la quantità di energia, ma il tipo di energia utilizzata. Una tecnologia che usi prevalentemente energia elettrica può essere alimentata da fonti rinnovabili, solare, vento ecc., mentre le tecnologie che ricorrono prevalentemente ad energia termica utilizzano prevalentemente gas. 

 

La seconda condizione è la preferenza per tecnologie con un basso uso di solventi.

 

La terza riguarda invece l’esistenza di un efficiente, oltre che efficace, filiera della raccolta di scarti e rifiuti tessili di fibre sintetiche o miste senza il quale è difficile realizzare i volumi di feedstock richiesti, la loro stabilità e la conformità alle specifiche richieste per i processi di riciclo.

 

Ultimo ma non meno importante è la dimensione economica e finanziaria. Queste tecnologie richiedono elevati investimenti, dell’ordine tra €100 e €200 milioni, per impianti in grado di lavorare circa 50mila tonnellate l’anno di scarti. L’investimento è quindi consistente e non può prescindere da una adeguata profittabilità. Ad oggi, generalmente, queste tecnologie per essere profittevoli comportano prezzi di vendita delle fibre rigenerate molto elevati.