La conferenza ONU sul clima (COP27)
Annunci e impegni per il settore tessile
Si è svolta a novembre, in Egitto, la ventisettesima edizione della conferenza ONU sul clima. Molte organizzazioni ambientaliste ne hanno aspramente criticato i risultati; i media internazionali hanno concentrato l’attenzione sull’accordo tra gli stati, annunciato a conclusione della Conferenza, che ha istituito un fondo di compensazione per le nazioni più vulnerabili ai danni attribuiti al cambiamento climatico. Un fondo i cui dettagli restano però ancora tutti da negoziare, non essendo stata presa alcuna decisione su chi dovrebbe versare le risorse, da dove proverrà questo denaro e quali paesi ne beneficeranno.
Per meglio valutare gli esiti dalla conferenza, si deve guardare alla qualità della presenza alla COP27 del sistema privato, imprese e ONG, che ormai considerano le COP come appuntamenti annuali irrinunciabili per le agende del top management (e questo è certamente un bene).
La presenza dell’industria tessile e della moda, va detto, non è stata massiccia e il suo contributo al bilanco della conferenza si limita a tre annunci che riguardano: l’approvvigionamento responsabile delle materie prime, la difesa della biodiversità nelle filiere produttive e una migliore definizione quantitativa degli obiettivi di sostenibilità del settore nel suo insieme. Si tratta di iniziative che, come ha commentato Vogue Business, estendono o migliorano progetti e modelli già esistenti, più che introdurre nuove strategie, o lanciare nuove parole d’ordine. Vediamole più in dettaglio.
Durante la conferenza, la ONG Canopy ha annunciato l’impegno di un gruppo di grandi marchi, tra cui H&M, Inditex, proprietaria di Zara, Stella McCartney e il gruppo Kering per proteggere le foreste antiche e in via di estinzione dall'estrazione di fibre destinate alla produzione di viscose, legna, carta e cartoni da imballaggio utilizzati dall’industria della moda. I marchi si sono impegnati ad acquistare oltre mezzo milione di tonnellate di fibre a basse emissioni di carbonio e a basso impatto, per la produzione sia di capi di abbigliamento che di imballaggi.
Il gruppo LVMH ha invece annunciato l’impegno per proteggere e ripristinare la biodiversità in collaborazione con la Circular Bioeconomy Alliance, una organizzazione fondata nel 2020 da Re Carlo III, quando era ancora Principe di Galles, per sviluppare in Africa la produzione sostenibile di cotone con le tecniche dell’agricoltura rigenerativa. Il contributo di LVMH consentirà di realizzare progetti sull'agroforestazione rigenerativa e sul ripristino del territorio, lavorando con 500 coltivatori di cotone per piantare alberi da frutto o da legname accanto alle loro colture di cotone.
Il terzo annuncio è venuto da Global Fashion Agenda, un'associazione senza scopo di lucro, organizzatrice anche del Copenhagen Fashion Summit, che ha lanciato assieme al Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) un’ iniziativa di consultazione finalizzata a trovare una convergenza tra i diversi obiettivi e iniziative, spesso ambiziosi, ma non coordinati, che i marchi e le imprese della moda si sono individualmente posti a individuare percorsi condivisi da tutto il settore.
Un bilancio dunque modesto anche per l’industria della moda e che, per citare ancora Vogue Business “Il vertice annuale delle Nazioni Unite sul clima, COP27, ha lasciato agli esperti di moda sostenibile più domande che risposte”.